lunedì 14 marzo 2022

Laboratorio di ceramica artistica

 - Qui manca solo una persona che pulisce i fagiolini - disse Marina, mentre mi guardava negli occhi, contenta che io fossi lì. 

Eravamo nel suo laboratorio di ceramica artistica, a ridosso della muraglia della Suburra. 

Il sole pallido di Marzo ne illuminava la vetrina e io che ero dentro, quando alzavo gli occhi, osservavo  i turisti camminare. La vita della mia città sembrava aver già preso, a quell'ora, il suo ritmo consueto di città d'arte e di cultura.

Tamburi accompagnavano la danza delle mie mani sull'argilla che prendeva forma, e che sembrava uscire da un mondo nascosto dove, però, già vibrava di energia. Il loro suono sembrava arrivare da lontano e riusciva ad accompagnare  - con elegante discrezione - quella nuova, misteriosa nascita, che è la plasmazione di una forma. I tamburi accompagnavano ogni mio gesto, ogni misurato cambiamento della posizione delle mie mani che cercavano, inesperte, di  accogliere quella massa ancora informe, quel blocco unico, per farlo divenire espressione di me. 

Ad  un tratto non capii più se era la musica ad accompagnare me o se io mi fossi talmente lasciata cullare dalle sue vibrazioni, da risuonare totalmente con lo strumento e con la materia che stavo lavorando. Mi tornarono in mente le riflessioni, a casa di Giuliana, sul rispetto, la cura e la sollecitudine verso l'altro. 

La relazione. L'incontro con l'altro. 

E ora mi sembrava di stare lì, attraverso l'argilla, che si fidava delle mie mani; e le mie mani, le mie dita stavano imparando ad accoglierla con gentilezza, ad usare i polpastrelli per renderla liscia, a contenerla con il palmo della mano quando aveva bisogno di una direzione diversa, a schiacciarla forte con la punta delle dita per darle maggiore consistenza e forza. Era una creazione capace di rendere manifesta una narrazione mia importantissima, che parla di una creatività agita attraverso l'esperienza tattile concreta. 

A occhi chiusi osservai le mie mani sull'argilla. Mi accorsi che stavano acquistando un ritmo più lento, che mi permetteva di rimanere a contatto più a lungo. Avvertii una forte presenza simbolica di acqua, come se proprio questa acqua desse alla materia capacità di esprimersi. 

Mi sembrò di essere in un antro seduta in fondo al mare. 

Pensai allora a mia madre e ai miei nonni e ai loro gesti precisi, a quella manualità che era l'anima della loro identità; una manualità esatta,


fatta di parole dimenticate e di una bellezza sgargiante che pulsa sempre viva. 



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